Se la scuola dell’infanzia è il ponte che fa giungere i bambini sul terreno della scuola primaria, allora i servizi 0-3 rappresentano l’altra spalla, in un percorso coerente di crescita e sviluppo.
Le modalità di gestione e organizzazione pensate rappresentano, per molte amministrazioni poste sopra una determinata quota altimetrica “a rischio demografico”, se così vogliamo dire, una soluzione auspicata per incoraggiare e sostenere la permanenza nei territori che finalmente trova compiutezza all’interno di una norma.
Con la nostra speciale Autonomia, possiamo essere ancora una volta guida, protagonisti nel tracciare una nuova strada per il futuro e disegnare il modello trentino per il sistema integrato zerosei.
La Consigliera Provinciale Vanessa Masè e il Vicesindaco di Levico Patrick Arcais intervengono sulla vicenda del servizio sociale distaccato della comunità di valle dell’Alta Valsugana.
In questi giorni, in seguito all’incontro che vi è stato a Castel Tirolo il 23 novembre scorso, tra i Presidenti italiano e austriaco, alla presenza dei Presidenti delle due Province autonome, il tema trasfrontaliero è particolarmente vissuto e dibattuto. Si è scritto e detto molto sui rapporti tra i territori al di qua e al di là del Brennero, ma vorrei entrare nel dibattito ponendo l’accento su una sua “difficile” declinazione reale, mi riferisco al tema dei trasporti transfrontalieri.
Il Festival della Famiglia che si sta svolgendo in questi giorni a Trento, e l’approssimarsi della discussione della manovra finanziaria, pongono il tema della natalità fortemente al centro di tutti i dibattiti di questi giorni. Pur nell’analisi di dati preoccupanti che l’immagine cupa di culle vuote e di asili disabitati riesce perfettamente a rendere, è emerso un segnale positivo: la denatalità non è un destino ineluttabile perché, con politiche mirate, la tendenza si può invertire.
La politica, come poche altre cose al mondo, si concretizza in un’infinità di aspetti diversi e risulta come una sommatoria di fattori intrinsecamente collegati tra di loro.
In qualunque modo la si approcci, però, quello che da tutti i cittadini viene concepito come l’avamposto della politica è la figura del Sindaco: non solo è l’Istituzione di prossimità, quella presente capillarmente su tutto il territorio e che ha competenza su una serie di aspetti centrali nella vita di ciascuno di noi, ma il Sindaco è soprattutto la persona che chiami per nome, che probabilmente conosci da molti anni perché vive – come te- il tuo paese ed a cui ti rivolgi per qualunque questione, anche quelle le cui competenze travalicano formalmente le funzioni del Comune. E lo fai spesso fuori dagli uffici, incontrandolo a far la spesa od al bar mentre si guarda una partita di calcio.
La politica ai tempi dei social sta diventando una creatura strana che sta cambiando molte delle sue caratteristiche storiche. Dovessi descrivere il movimento cui appartengo in un tweet, ad esempio, userei “Idee, persone, territori e contenuti: ecco La Civica”, mentre come hashtag abbiamo un – per noi significativo – #SceglilaTuaTerra. Come tutti i movimenti politici attuali, anche noi abbiamo una attivissima pagina Facebook, e ovviamente nell’immancabile sito rilanciamo contenuti in versione approfondita.
In occasione del cosiddetto FridayForFuture, l’Italia si è talmente distinta da risultare essere il quarto Stato per numero di manifestazioni di piazza.
Toni trionfalistici hanno condito le descrizioni di quest’evento.
Qualcuno a sinistra lo ha paragonato ad un nuovo ‘68.
D’altro canto, però, la sinistra che ci è capitata in sorte vive da molti anni una così viscerale crisi di identità da innanzare a propri paladini i personaggi più disparati, dalla Carola alla Greta di turno… dimenticandosi del fatto che dietro ad una giovane come l’ambientalista svedese vi è un investimento mediatico e di capitali enorme, finalizzato, per dirla con le parole di Giulio Tremonti, “a ridisegnare la struttura industriale fatta con la globalizzazione”.
“I problemi non si affrontano in termini ideologico-sentimental-patetico, ma con la scienza”, ha avuto modo di ricordare Massimo Cacciari, icona della sinistra italiana.
La realtà, purtroppo, pare essere un’altra e si rischia di annullare ogni discorso serio sul tema.
Perché, in qualunque modo la si voglia leggere, mai come in questa situazione scendono in campo due squadre contrapposte: la prima formata dalle ampie schiere di sostenitori di Greta, la seconda da premi Nobel e scienziati di fama internazionale.
I 500 scienziati internazionali che hanno scritto all’ONU, capitanati da Guus Berkhout, non bucano lo schermo.
Tra i firmatari vi è anche il Prof. Antonino Zichichi, il quale, senza mezzi termini, ha detto che Greta dovrebbe andare a scuola perché per risolvere i problemi climatologici è necessario studiare… “altrimenti si parla di clima senza affrontare i problemi legati al clima”.
Zichichi si fa portavoce di una certezza scientifica: inquinamento e cambiamenti climatici sono cose diverse e, mentre sul primo si può e si deve far qualcosa, sui secondi abbiamo poco margine di manovra.
Il clima dipende al 95% dal motore meteorologico dominato dalla potenza del Sole e solo nel restante 5% da attività umane.
È straordinariamente importante la tendenza di una parte sempre maggiore di persone ad occuparsi di cause comuni, come di certo è quella ambientale, ma a questo coinvolgimento deve corrispondere anche analisi e competenza.
Non si vuole negare che un problema esista, ma proprio per questo deve essere affrontato come una questione complessa e non un giocattolo che si presta al qualunquismo.
Le nostre spiagge devono essere tenute pulite ed i mari liberi da rifiuti, ma contemporaneamente si deve sapere che ll’80% della plastica nel mare, protagonista di innumerevoli spezzoni video che ritraggono pesci e tartarughe moribondi, proviene da dieci fiumi, 8 dei quali tra Cina ed Asia e due in Africa.
Si deve contemporaneamente sapere che è del tutto inutile criminalizzare interi settori, come l’agricoltura e l’allevamento, in quanto -e solo per fare un esempio- l’agricoltura italiana produce il 46% di gas serra in meno rispetto alla media europea e recenti studi della FAO riportano che si attesta attorno al 14% il contributo degli allevamenti alle emissioni globali (percentuale che arriva a toccare il 2% nel caso di applicazione di zootecnia tecnologicamente sviluppata).
Certamente lo stile di vita occidentale può ed in parte deve essere cambiato, ma nella piena consapevolezza che il cuore del problema è altrove, cioè in Cina, India ed in una enorme schiera di Paesi emergenti che degli ammonimenti degli scienziati si fanno beffe… figuriamoci dei sit-in della società occidentale.
La scienza e gli specialisti devono fare la loro parte, la politica la propria, mentre tutti noi dobbiamo assumerci la responsabilità di scelte consapevoli.
Ambiente non è solo consumare in misura sempre maggiore quanto prodotto nelle proprie vicinanze, ma anche produrre vicino a dove si consuma, unendo alla battaglia ambientalista enormi margini di vantaggi economici ed occupazionali per tutto il Vecchio Continente.
L’ambiente lo si tutela non congelandolo dentro una campana di vetro, ma rendendo giustizia alla vocazione delle singole zone e comprendendo che l’apporto umano, troppo spesso criminalizzato dagli ambientalisti di professione, può essere una risorsa fondamentale e vivificante.
Basti pensare, a solo titolo di esempio, che gli unici pascoli o quanto meno quelli meglio curati in zone antropizzate sono quelli che in inverno si coprono di neve e rispondono al nome di “piste da sci”.
Demonizzate come scempi, in moltissime occasioni invece sono indispensabili per creare quella commistione di fattori che permette ad una Terra di vivere ed anche per questa ragione si dovrebbe seriamente valutare di costruirne di nuove senza steccati ideologici.
Non è per merito del militante green che un territorio cresce, ma grazie alle genti che ci abitano da generazioni e che su di esso hanno deciso di investire come sede della propria famiglia, degli affetti e del proprio lavoro: le iniziative imprenditoriali, in tal senso, quando inserite in un disegno di concertazione più ampio, sono da considerarsi vincenti ed indispensabili.
In conclusione, ed in risposta al FFF (FridayForFuture), rilancerei un molto più profondamente connaturato nell’animo umano “Scegli la tua Terra”: siamo figli del Trentino ed orgogliosi di quello che siamo…non abbiamo bisogno di farcelo spiegare da nessuno.
*Assessore provinciale Enti Locali e rapporti con il Consiglio
Di seguito la lettera pubblicata sul quotidiano L’Adige del 10 ottobre 2019
La notte tra il 5 e i 6 settembre a Nago Eleonora Perraro è stata uccisa dal compagno di vita, probabilmente a seguito di una lite sfociata in violenza.
L’uomo, che dice di non ricordare nulla, è stato trovato
abbracciato alla sua vittima, come se questo gesto di presunto amore potesse in
qualche modo diminuire il peso di un atto tanto efferato.
Non è il primo femminicidio che avviene in Trentino,
ricordiamo bene l’omicidio di Alba Chiara nel 2017, di Carmela, di Laura e
della di lei figlia nel 2015: tutte donne uccise dai compagni che “le amavano”.
Ora mi chiedo che genere di amore sia quello che spinge a
riempire di botte una donna e poi a ucciderla barbaramente, o come si possa
commentare questi fatti dicendo che sono “tragedie”, che “lui la amava e non si
rassegnava a perderla”? utilizzare parole che in qualche modo attutiscono la
portata di gesti tanto efferati e inscusabili crea una sorta di alibi sociale
che ora più che mai è assolutamente fuori luogo, considerati i numeri che danno
il quadro delle violenze perpetrate sulle donne.
Non si tratta infatti di essere femministe o di portare
avanti bandiere di genere, ma di guardare la realtà che ci dice che ogni tre
giorni in Italia una donna muore sotto i colpi di qualcuno che asserisce di
amarla e di non poter vivere senza di lei tanto da ucciderla….
E’ giusto quindi che la società si interroghi su che tipo di
educazione stiamo dando ai nostri figli, che tipo di messaggio stiamo passando
alle nuove generazioni se non siamo ancora riusciti a far capire agli uomini
che se una donna non ti vuole, è seccante, ma non finisce il mondo (non finisce
quello dell’uomo, e di conseguenza non deve finire quello della donna) e la
virilità non è in discussione, semplicemente è la vita e tocca anche accettare
il rifiuto. Dall’altro lato però anche le donne devono lavorare su loro stesse:
devono amarsi e rispettarsi, trovando la forza di dire basta, di mandare via o
di andare via da chi manca loro di rispetto, da chi pretende non la sana
esclusività dell’amore ma impone una gabbia di suprusi e violenze, troppe volte
anche assassine. Tacere e “mandare giù” non è la soluzione, perché non è mai “è
stato solo quella volta”, o “è stata colpa mia, lui in fondo non voleva”.
Quelle frasi non sono altro che l’anticamera dell’inferno. E se a fare da
spettatori ci sono dei figli, stare insieme non è fare il loro bene, è
compromettere il loro equilibrio mentale e il loro diventare un giorno adulti
rispettosi. Sempre più forte e sicura poi deve essere la rete di protezione
attivata intorno a quelle donne che si rifiutano di continuare a vivere
nell’incubo, e su questo le istituzioni tanto possono ancora fare.
Io parteciperò convintamente alla manifestazione di Arco, con
le scarpe rosse. Scarpe rosse che ormai in tutto il mondo sono il simbolo della
gioia di vivere spezzata, perché
qualcuno, a suo dire per amore, ha deciso così, uccidendo. Spero saremo in
tanti, perché il corteo sarà momento di consapevolezza, di raccoglimento, di
dolore, di coscienza sociale, e nel contempo, anche un modo per lenire la
ferita di una comunità lacerata. Queste manifestazioni pubbliche sono infatti
anche un gesto con cui una società prova ad elaborare un grave vulnus al
proprio interno stringendosi attorno alle famiglie ferite, ma anche un modo per
tenere desta l’attenzione che non deve limitarsi solo alla cronaca nera o
giudiziaria, ma aprire una riflessione su che tipo di società vogliamo essere e
soprattutto vogliamo diventare.
Faccio mio poi l’invito del presidente del Consiglio provinciale Walter Kaswalder a visitare numerosi, a Palazzo Trentini, la mostra“Alba Chiara: luce negli occhi, gioia nel cuore” che verrà inaugurata il 20 settembre , con i quadri della ventiduenne di Tenno uccisa due anni fa e che nessuno di noi vuole dimenticare.
A fiducia incassata, guardo a Giuseppe Conte come ad una creatura politica così peculiare da addirittura risultare assente nel pur variegato panorama italiano degli ultimi decenni: riuscire a passare dall’essere alleato della Lega a spalla ed alleato della Boldrini è un qualcosa che nemmeno le più fervide fantasie avrebbero potuto immaginare.
Autonomia è quello che siamo. Autonomia è l’autogoverno
attorno al quale si è costruita l’unità politica e comunitaria di tutto quel
territorio che oggi rientra nei confini della nostra Provincia.
Per questo possiamo azzardarci addirittura a sostenere che
non esiste un Trentino che non possa dirsi Autonomista: lo siamo nel sangue, lo
siamo perché è il contesto nel quale siamo nati e cresciuti. È la nostra
storia, è il nostro comune patrimonio, è la sintesi delle identità delle nostre
valli.