Le culle vuote si contrastano anche ripensando ai servizi per la prima e primissima infanzia

di Vanessa Masè*

Il Festival della Famiglia che si sta svolgendo in questi giorni a Trento, e l’approssimarsi della discussione della manovra finanziaria, pongono il tema della natalità fortemente al centro di tutti i dibattiti di questi giorni. Pur nell’analisi di dati preoccupanti che l’immagine cupa di culle vuote e di asili disabitati riesce perfettamente a rendere, è emerso un segnale positivo: la denatalità non è un destino ineluttabile perché, con politiche mirate, la tendenza si può invertire.

I nidi rappresentano sicuramente una delle principali scelte di valore su cui investire, perché solo con una rete solida di servizi anche per la primissima infanzia garantita su tutto il territorio è possibile accendere nelle famiglie la speranza della genitorialità. Questo tipo di servizio è un contesto di cura e di benessere per i bambini e per i genitori, ma non solo. Il nido è luogo di comunità, in cui i bambini si fanno soggetti attivi, dove imparare la relazione e quel livello di autonomia e coscienza di sé possibile per ogni fase del loro sviluppo. In questo contesto il progetto pedagogico è fondamentale, perché in esso si pone il bambino, come individuo, al centro. Con l’approvazione della proposta di mozione di cui sono stata recentemente promotrice con l’attenzione alla rimodulazione dei servizi per la fascia 0 – 6 anni, il Consiglio ha politicamente impegnato la Giunta, che ha dato la propria convinta disponibilità, a ripensare i servizi per la prima e primissima infanzia nell’ottica della continuità, considerando il percorso educativo un continuum dalla culla ai 6 anni. L’intervento può apparire “rivoluzionario” ma non deve destare allarme. Il lavoro che ci apprestiamo a fare non sarà calato dall’alto, ma verrà aperta una fase di ascolto di tutti i soggetti coinvolti, ossia tutti coloro che operano all’interno della galassia 0-6 a diverso titolo, incluse le parti sociali e le famiglie. Si vuole partire proprio dal bambino come soggetto unico e destinatario dei servizi che col sistema attuale avvengono in due momenti separati e con modalità differenti, mentre l’obiettivo che ci si propone di raggiungere è riuscire a valorizzare l’aspetto della crescita come un armonico divenire. ASIF Chimelli di Pergine, ha pionieristicamente intrapreso questo percorso unitario con un felice esito che è diventato un esempio anche a livello nazionale per le buone pratiche messe in atto, ma numerosi sono i contesti in cui, dal basso e spontaneamente, si sta andando verso lo 0-6. Penso al lavoro che sta portando avanti il Comune di Trento, che recentemente ha organizzato proprio un convegno sul tema, oppure al contributo che sta portando, tra le altre, anche la cooperativa La Coccinella. Passare da due sistemi ad uno unico permette di dare continuità pedagogica al bambino, cosa importante per il suo sviluppo sia immediato che futuro. Dare un’impostazione corretta alla socializzazione nella sua fase iniziale aiuterà a prevenire fenomeni di bullismo e di marginalità un domani, ad esempio. Inoltre, il continuum pedagogico permetterebbe anche di non disperdere il lavoro di osservazione che viene fatto sul bimbo, cosicché eventuali criticità potrebbero essere affrontate senza cesure.

Vi è l’ambizione di arrivare a far si che il servizio sia garantito, rimanendo sempre facoltativo, in tutto il territorio, diminuendo la forbice esistente tra la frequenza della materna e il nido d’infanzia, che il 99% dei bimbi frequenti la scuola materna e meno del 30% sia inserito in un servizio 0-3 non è solo una questione culturale, ma di accessibilità della fruizione. Allargare l’offerta e promuoverla nei territori meno forniti di servizi, ossia nelle valli, rappresenta una sfida da vincere, ripensando, come a mio avviso l’attuale governo provinciale sta facendo, le politiche familiari ponendole al centro delle politiche di sviluppo. Perchè solo un paese abitato ha futuro, e questo vale sia per l’Italia, che per ogni singolo paese delle nostre valli. Perchè se una famiglia sa di poter contare su un supporto valido nella cura e stimolante per la crescita dei propri piccoli, oltre che economicamente sostenibile, è maggiormente propensa anche ad avere dei figli; l’occupazione femminile viene in questo modo fortemente sostenuta e incoraggiata: la mamma sa di poter tornare a lavorare, da un lato, e l’azienda sa di poter contare sul rientro della lavoratrice, dall’altra. Con tutte le evidenti ricadute in termini di PIL, di previdenza sociale, di occupazione. Riuscire a creare un clima sociale che dia valore alla scelta di avere figli, in cui un figlio da costo privato diventi bene comune da condividere tutti insieme per darci un futuro, è l’obiettivo primario a cui dobbiamo tendere.

*Consigliere provinciale de La Civica

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