di Mattia Gottardi*
Autonomia è quello che siamo. Autonomia è l’autogoverno attorno al quale si è costruita l’unità politica e comunitaria di tutto quel territorio che oggi rientra nei confini della nostra Provincia.
Per questo possiamo azzardarci addirittura a sostenere che non esiste un Trentino che non possa dirsi Autonomista: lo siamo nel sangue, lo siamo perché è il contesto nel quale siamo nati e cresciuti. È la nostra storia, è il nostro comune patrimonio, è la sintesi delle identità delle nostre valli.
Del resto, come sostengono la tanta parte degli antropologi, non può esistere una realtà politica duratura se essa non poggia le basi in una realtà spirituale già immanente.
Se tutto questo è vero, è altrettanto certo che quando si fa politica l’idem sentire appena descritto deve diventare programmatico: l’Autonomia, detta in altri termini, deve essere quella scelta quotidiana che funge da stella polare quando capisci che l’unicità ed il bene della tua Terra sono contemporaneamente genesi, strategia e finalità del tuo operato ed impegno.
Non basta avere l’aggettivo “autonomista” nel nome del proprio movimento per potersi definire tali. Anzi, è proprio quando si concretizza quella che amo chiamare apostasia dei cosiddetti autonomisti che inizia il clima di confusione citato nell’editoriale del Direttore Mantovan. La riprova di questo è stata sotto gli occhi di tutti: il Governo di Ugo Rossi si è palesato come il meno autonomista della storia recente del Trentino, con il taglio dei servizi nelle nostre valli ed il totale adeguamento alle direttive politiche nazionali del centrosinistra -anche laddove, come per la scuola, la materia rientra nelle nostre competenze-. Come, poi, non ricordare la campagna per il referendum costituzionale del dicembre 2016? Per seguire i diktat romani (o toscani, considerato che tale riforma portava il volto del tandem Renzi/Boschi… quella stessa Boschi la cui candidatura è stata imposta nel Collegio uninominale di Bolzano), quello che all’epoca si faceva chiamare centrosinistra-autonomista, PATT in testa, ha messo gravemente a repentaglio la nostra autonomia.
La coalizione ora al Governo del Trentino ha profonde radici autonomiste, come le hanno Fugatti e la Lega, al di là delle semplificazioni in cui taluni indugiano; il Movimento di cui sono esponente, La Civica, è fortemente territoriale e si pone come obiettivo quello di difendere l’essenza della nostra Comunità contro ogni forma di omologazione, partendo dal presupposto che quando ad un uomo vengono distrutte le radici, diviene in quel momento stesso una ruota dell’ingranaggio dell’economia e viene svuotato del suo ruolo sociale e politico. Solo vivere ancorati alla propria dimensione naturale permette di trovare dignità ed umanità.
Ci viene chiesto di render conto dell’apparente dualità tra ferrovia e Valdastico. Rispondo: tutte e due, ma oggi le risorse e gli obblighi in capo ai concessionari finanziano la seconda, mentre le risorse per la prima devono arrivare dalla società del tunnel di base del Brennero di cui la Provincia è socia solo al 5% (sul cui punto, mi permetto di aggiungere, le Giunte precedenti hanno palesemente dormito).
Cooperazione? Si deve trovare un punto di incontro tra la sua tradizionale vocazione, che affonda le radici nel mutuo soccorso per superare le difficoltà e crescere globalmente, e le contemporanee regole di mercato che rendono più complesso il meccanismo cooperativo in taluni settori.
Sovranismo? È assolutamente anacronistico considerarlo un sinonimo di sterile nazionalismo. Si tratta di una riscoperta delle proprie radici e dell’identità, un sentimento di appartenenza multilivello che ci rende contemporaneamente cittadini del nostro Comune, Trentini ed Italiani. Ogni piano esalta e rinforza quello successivo.
Perché questo disegno programmatico si sposa perfettamente in una coalizione territoriale ed autonomista di centro destra? Preferisco dirlo con le parole del tedesco Gregor Gysi, Presidente del Partito della Sinistra Europea, che durante la presentazione del suo ultimo libro, “Ein Legen ist zu wenig”, ha affrontato una severa autocritica nei confronti del mondo politico dal quale proviene: secondo Gysi la sinistra perde in Europa “perché si è dimenticata della propria Heimat”. La sinistra, per sua stessa vocazione internazionalista, sempre uguale a se stessa, ha perso il legame con la terra dei propri padri e con il tessuto umano specifico della Comunità che ha la pretesa di rappresentare.
Giochiamoci al meglio la carta vincente dell’essere “piccoli”: chiamiamoci tutti per nome e riscostruiamo coesione e partecipazione al bene comune, rivitalizziamo e rinnoviamo le ASUC, formiamo gli Amministratori pubblici, ritorniamo ad essere faro di innovazione e buon governo, ad essere esempio di responsabilità e buona gestione. Autonomia è questo, non apparire come quel territorio “pieni di soldi”.
*Assessore Enti Locali e rapporti con il Consiglio