di Mattia Gottardi*
In occasione del cosiddetto FridayForFuture, l’Italia si è talmente distinta da risultare essere il quarto Stato per numero di manifestazioni di piazza.
Toni trionfalistici hanno condito le descrizioni di quest’evento.
Qualcuno a sinistra lo ha paragonato ad un nuovo ‘68.
D’altro canto, però, la sinistra che ci è capitata in sorte vive da molti anni una così viscerale crisi di identità da innanzare a propri paladini i personaggi più disparati, dalla Carola alla Greta di turno… dimenticandosi del fatto che dietro ad una giovane come l’ambientalista svedese vi è un investimento mediatico e di capitali enorme, finalizzato, per dirla con le parole di Giulio Tremonti, “a ridisegnare la struttura industriale fatta con la globalizzazione”.
“I problemi non si affrontano in termini ideologico-sentimental-patetico, ma con la scienza”, ha avuto modo di ricordare Massimo Cacciari, icona della sinistra italiana.
La realtà, purtroppo, pare essere un’altra e si rischia di annullare ogni discorso serio sul tema.
Perché, in qualunque modo la si voglia leggere, mai come in questa situazione scendono in campo due squadre contrapposte: la prima formata dalle ampie schiere di sostenitori di Greta, la seconda da premi Nobel e scienziati di fama internazionale.
I 500 scienziati internazionali che hanno scritto all’ONU, capitanati da Guus Berkhout, non bucano lo schermo.
Tra i firmatari vi è anche il Prof. Antonino Zichichi, il quale, senza mezzi termini, ha detto che Greta dovrebbe andare a scuola perché per risolvere i problemi climatologici è necessario studiare… “altrimenti si parla di clima senza affrontare i problemi legati al clima”.
Zichichi si fa portavoce di una certezza scientifica: inquinamento e cambiamenti climatici sono cose diverse e, mentre sul primo si può e si deve far qualcosa, sui secondi abbiamo poco margine di manovra.
Il clima dipende al 95% dal motore meteorologico dominato dalla potenza del Sole e solo nel restante 5% da attività umane.
È straordinariamente importante la tendenza di una parte sempre maggiore di persone ad occuparsi di cause comuni, come di certo è quella ambientale, ma a questo coinvolgimento deve corrispondere anche analisi e competenza.
Non si vuole negare che un problema esista, ma proprio per questo deve essere affrontato come una questione complessa e non un giocattolo che si presta al qualunquismo.
Le nostre spiagge devono essere tenute pulite ed i mari liberi da rifiuti, ma contemporaneamente si deve sapere che ll’80% della plastica nel mare, protagonista di innumerevoli spezzoni video che ritraggono pesci e tartarughe moribondi, proviene da dieci fiumi, 8 dei quali tra Cina ed Asia e due in Africa.
Si deve contemporaneamente sapere che è del tutto inutile criminalizzare interi settori, come l’agricoltura e l’allevamento, in quanto -e solo per fare un esempio- l’agricoltura italiana produce il 46% di gas serra in meno rispetto alla media europea e recenti studi della FAO riportano che si attesta attorno al 14% il contributo degli allevamenti alle emissioni globali (percentuale che arriva a toccare il 2% nel caso di applicazione di zootecnia tecnologicamente sviluppata).
Certamente lo stile di vita occidentale può ed in parte deve essere cambiato, ma nella piena consapevolezza che il cuore del problema è altrove, cioè in Cina, India ed in una enorme schiera di Paesi emergenti che degli ammonimenti degli scienziati si fanno beffe… figuriamoci dei sit-in della società occidentale.
La scienza e gli specialisti devono fare la loro parte, la politica la propria, mentre tutti noi dobbiamo assumerci la responsabilità di scelte consapevoli.
Ambiente non è solo consumare in misura sempre maggiore quanto prodotto nelle proprie vicinanze, ma anche produrre vicino a dove si consuma, unendo alla battaglia ambientalista enormi margini di vantaggi economici ed occupazionali per tutto il Vecchio Continente.
L’ambiente lo si tutela non congelandolo dentro una campana di vetro, ma rendendo giustizia alla vocazione delle singole zone e comprendendo che l’apporto umano, troppo spesso criminalizzato dagli ambientalisti di professione, può essere una risorsa fondamentale e vivificante.
Basti pensare, a solo titolo di esempio, che gli unici pascoli o quanto meno quelli meglio curati in zone antropizzate sono quelli che in inverno si coprono di neve e rispondono al nome di “piste da sci”.
Demonizzate come scempi, in moltissime occasioni invece sono indispensabili per creare quella commistione di fattori che permette ad una Terra di vivere ed anche per questa ragione si dovrebbe seriamente valutare di costruirne di nuove senza steccati ideologici.
Non è per merito del militante green che un territorio cresce, ma grazie alle genti che ci abitano da generazioni e che su di esso hanno deciso di investire come sede della propria famiglia, degli affetti e del proprio lavoro: le iniziative imprenditoriali, in tal senso, quando inserite in un disegno di concertazione più ampio, sono da considerarsi vincenti ed indispensabili.
In conclusione, ed in risposta al FFF (FridayForFuture), rilancerei un molto più profondamente connaturato nell’animo umano “Scegli la tua Terra”: siamo figli del Trentino ed orgogliosi di quello che siamo…non abbiamo bisogno di farcelo spiegare da nessuno.
*Assessore provinciale Enti Locali e rapporti con il Consiglio
Di seguito la lettera pubblicata sul quotidiano L’Adige del 10 ottobre 2019

