Nei giorni scorsi attraverso la stampa è stata data l’immagine di un Trentino come nave che affonda, schiacciato da Alto Adige e Veneto/Lombardia. Leggendo quegli interventi uno in seguito all’altro, ho figurato una barchetta di legno tenuta in cattivo stato, in preda alla furia del mare tra due scafi potenti che si comportano come i rulli di una pressa con un guscio di noce. Da consigliere provinciale raccolgo la provocazione lanciata che la politica possa replicare a questi temi con un “non mi interessa”, rispondendo “al contrario!”.
Si tratta di argomenti profondamente attuali, ma dichiaro subito che quella rappresentata non è una visione che voglio condividere per il tipo di approccio che mi propongo di avere nel lavoro istituzionale di questa legislatura, né che trovo corretta nei confronti del tessuto sociale ed economico di quel Trentino che quotidianamente si dà da fare, in questi giorni rappresentato in maniera così genuina dalla signora Flora dell’edicola-chiosco, portata inaspettatamente alla ribalta del Festival dell’Economia.
Innanzitutto un minimo di doveroso inquadramento storico: gli allarmi sulla tenuta del sistema Autonomia sembra abbiano cominciato a suonare all’impazzata con questa maggioranza di governo, accusata di fare le scelte in costante sudditanza di Roma o “per un piatto di lenticchie”, quando invece sono state le decisioni politiche avallate da chi ha retto Trento negli ultimi vent’anni che hanno portato ad un costante deterioramento e messa in pericolo della nostra specialità, anche attraverso un continuo e complice svuotamento della Regione, ridotta politicamente e istituzionalmente ad appendice delle due Province.
Come accusare il cittadino comune di affievolimento dell’ardore autonomistico quando dovrebbe essere la Politica la prima a credere, a rappresentare e a difendere l’Autonomia in tutte le sue sedi? E molti negli anni sono stati i richiami in questo senso, portati avanti con calore e convinzione da figure come Flavio Mosconi e naturalmente Rodolfo Borga.
Per tornare all’attualità, in questo primo scorcio di legislatura stiamo cercando di attuare il nostro “rovesciamento concettuale” rispetto al passato, riconsegnando centralità ai territori, ridando loro l’opportunità di indicare vie percorribili insieme, e ricalibrando ove possibile servizi soppressi o opere rinviate ad libitum. Certo, è innegabile che la sostenibilità finanziaria del sistema autonomistico (anche alla luce degli accordi del 2009 e del 2014), e quindi la tenuta dei bilanci che ci aspettano, rappresenti un’area critica con cui fare letteralmente i conti: dovremo continuare a fare di più con meno (viste le aumentate competenze), ed è in quest’ottica che vanno lette tutte le ipotesi di efficientamento e razionalizzazione della spesa sul lungo periodo che si rende necessario fare.
Nessun “cedimento collettivo” quindi, ma piuttosto un futuro da maratoneta che sa dosare il fiato durante tutta la lunga corsa che ha davanti.
Vanessa Masè