Ho appreso dal Suo giornale la notizia del ragazzo autistico che la famiglia non è più in grado di supportare ed ha chiesto ai servizi sociali di farsene carico, devo dire che al di là del dolore e dello sconcerto che la notizia mi ha provocato, ho anche cercato di capire il motivo di una scelta così sconvolgente, ma che spero non irreversibile.
L’autismo come ben spiega l’articolo è un disturbo pervasivo del neurosviluppo che comporta un deficit persistente nella comunicazione e nell’interazione sociale e che ha vari gradi di gravità che compromettono la vita sociale dell’individuo a vari livelli. Negli ultimi anni lo studio di questa neurodiversità ha stabilito che più precocemente si interviene più alle persone potrà essere garantita una condizione di vita accettabile. Per molti aspetti la nostra Provincia ha fatto molto e molto altro si appresta a fare anche con un piano a tutto campo approvato pochi mesi fa dalla Giunta provinciale, dedicato a questa problematica, volto a recepire le indicazioni contenute nella legge nazionale del 2015 che ha come obiettivo quello di fornire indicazioni in materia di diagnosi, cura e riabilitazione delle persone con disturbi della spettro autistico nonchè assistenza alle famiglie, per dare una risposta a chi si trova a vivere in prima persona questa difficoltà.
Personalmente mi sono interessata e adoperata affinché, per i ragazzi con disturbo dello spettro autistico, fosse possibile avere un percorso di inserimento lavorativo adeguato alla loro particolarità e alle loro capacità, soprattutto per quanti hanno un disturbo ad alto funzionamento e Sindrome di Asperger, inserendo all’interno del disegno di legge di assestamento, in discussione in Consiglio in questi giorni, un articolo che prevede appunto misure volte a favorirnel’inserimento lavorativo coinvolgendo non solo i servizi pubblici ma anche i soggetti privati e il privato sociale
Questo perché oltre alle attenzioni doverose e dovute per chi vive una condizione di autismo severo e che merita per questo tutte le risposte adeguate e le risorse necessarie ad aiutare sia costoro che le loro famiglie in un non facile compito di cura, era necessario aprire un canale rivolto a quanti vedono riconosciuta la diagnosi di alto funzionamento, e che non riescono ad accedere a delle misure che ne agevolino l’inserimento sia nella vita lavorativa che sociale. Poichè la difficoltà è soprattutto relazionale e non intellettiva, il restare esclusi comporta in molti casi uno stato di perenne frustrazione e senso di inadeguatezza che può sfociare col tempo in depressione o addirittura psicosi, senza dimenticare che la disoccupazione, tra coloro che soffrono di tali disturbi, si aggira attorno all’87% proprio per la difficoltà a trovare ambiente e soprattutto supporto adeguato.
Sicuramente non è la soluzione del problema, ma è certamente un importante passo per aiutare a superare in parte la difficoltà nella comunicazione e l’isolamento che ne deriva e in cui alla fine si vengono a trovare anche le famiglie e che spesso fa si che queste persone diventino davvero degli invisibili di cui ci si può dimenticare.
Vanessa Masè
Consigliere Provinciale
